Storia della Città

Storia della Città

Come nel caso di altri centri marsicani anche a Celano la presenza continuativa dell'uomo risale a circa 18.000 anni fa, al Paleolitico Superiore

La presenza umana nell'area perilacustre del territorio di Celano è documentabile a partire da 18.000 anni fa.

Il ritrovamento dell' insediamento palafitticolo delle “Paludi” ha portato alla luce strutture paliformi lignee risalenti all'Età del Bronzo (3.700-3.600 anni fa) e una necropoli (X secolo a.C.) con tombe a tumulo circoscritte da un circolo di pietre.

In epoca romana il territorio fucense di Celano viene inserito nell' ager Albensis, gravitando intorno all'orbita della città di Alba Fucens.

Le invasioni barbariche successive al crollo dell'Impero Romano e le frequenti esondazioni del Lago Fucino causarono l'abbandono dell'insediamento perilacustre celanese ed il conseguente arroccarsi dell'abitato nelle più sicure alture del Monte Tino .

La conquista longobarda del territorio marsicano segnò nel 591 la fine delle strutture amministrative romane, sostituite dai ducati e dai feudi minori, tra cui le gastaldie. La gastaldia dei Marsi venne inserita nel Ducato di Spoleto ed elevata al rango di Contea nell'859-60 da Lotario II.

Con i Conti Berardi, Celano divenne uno dei centri più importanti della Contea dei Marsi: il vescovo Pandolfo, figlio del Conte Berardo II, ordinò, alla metà dell'XI secolo, la costruzione della Chiesa di San Giovanni Battista, l'unico edificio che, nel 1223, si salvò dall'incendio e dalla distruzione totale della vecchia Celano ad opera di Federico II , precedentemente entrato in conflitto con Tommaso, Conte di Celano.

Fu lo stesso imperatore ad ordinare la deportazione dei Celanesi in Sicilia e a Malta fino al 1227 quando, per intercessione di Onorio III, ai Celanesi fu concesso di ritornare in patria e ricostruire una “Cittadella” sul colle di San Flaviano, intorno alla nuova Chiesa di San Giovanni. 

Tra la fine del 1100 e gli inizi del 1200 Celano diede i natali a fra Tommaso da Celano, ideatore del "Dies Irae", amico e primo biografo di San Francesco d'Assisi.

Sulla sommità di suddetto colle, il Conte Pietro Berardi nel 1392 fece edificare il castello, simbolo dell'autorità comitale nell'intero territorio marsicano.

Si deve alla Contessa Jacovella, ultima erede dei Conti di Celano e al suo terzo marito Leonello Acclozamora la ventata di arte rinascimentale visibile nell'architettura del castello e nelle chiese celanesi, arricchite dagli interventi artistici di maestranze aquilane.

Nel 1463 Ferdinando d'Aragona assegnò la Contea ad Antonio Todeschini Piccolomini, marito di Maria d'Aragona e nipote di Enea Silvio Piccolomini, salito al soglio pontificio con il nome di Papa Pio II.

Nei 128 anni di dominio, i Piccolomini rinnovarono Celano con la loro arte rinascimentale toscana, contrassegnando di mezzelune, simbolo araldico della famiglia, edifici militari, civili ed ecclesiastici.

Costanza Piccolomini vendette nel 1591 la Contea di Celano alla sorella di Papa Sisto V, Camilla Peretti.

I Peretti governarono la Contea fino alla fine del '600, secolo buio, contrassegnato da povertà, peste e rivolte popolari. Il Conte Francesco Peretti si ritrovò infatti a gestire nel 1647-48 la rivolta popolare scoppiata in concomitanza con il moto napoletano di Masaniello: il castello venne preso d'assalto e occupato dai rivoltosi capitanati dall'aquilano Antonio Quinzi, sedati solo dalla feroce repressione delle truppe spagnole aiutate dal bandito Giulio Pezzola.

Dopo i Peretti, la Contea passò nelle mani dei Savelli, dei Cesarini e infine degli Sforza-Bovadilla.

L'ultimo Conte di Celano, Francesco Sforza-Bovadilla, fu destituito nel 1806, con l'abolizione dei feudi ad opera di Gioacchino Murat.

Nel secolo XIX il trauma ambientale e le drastiche variazioni climatiche causate dal prosciugamento del Lago Fucino segnarono l'inizio del fenomeno dell'emigrazione, aggravato dal devastante terremoto del 1915, che distrusse gran parte del centro storico ed uccise un terzo della popolazione celanese.

Nel 1951, con la fine dei tumulti anti-Torlonia, gli agricoltori diventarono i legittimi proprietari delle terre emerse dal prosciugamento, ettari ed ettari di coltivazioni che hanno portato al boom economico degli anni '60.